Migranti: facce di pietra e nessuno fa “mea culpa”

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di Salvo Barbagallo

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Certo il sentire pronunciare al (non) dimenticato ex premier Matteo Renzi (dal palco della Festa dell’Unità a Bologna) sulla questione “immigrazione” frasi come

serve buonsenso, ragionevolezza e pensarla sul medio periodo. Tutto subito non si può fare. Si è fatto bene a bloccare gli sbarchi (…) la questione immigrazione c’è sempre stata. Non credete a quello che vi dicono che è solo di oggi, serve aiutarli nei paesi di origine, investire in Africa. Si può fare non solo con le grandi aziende, ma con la cooperazione, con gli investimenti nei luoghi di origine (…)

c’è da farsi accapponare la pelle e fare sforzi inauditi per evitare conati di vomito. Certo è vero che gli Italiani sono abituati (o assuefatti) alle “bugie” dei cosiddetti politici (o ex governanti il Paese), alle loro “facce di pietra”, all’assoluta mancanza di autocritica, ai “rivoltamenti” strumentali e opportunistici di prese di posizioni portate avanti con malvagia e pericolosa pervicacia per anni.

Facce di pietra e mimica da attori consumati che hanno calcato le scene internazionali, apportando sconvolgimenti sociali e “coscientemente” mirati alla destabilizzazione di intere collettività. No, nessun senso di colpa, nessun “mea culpa” da parte di ex governanti, o di attuali governanti: soltanto un repentino cambiamento di “indirizzo” nel modus operandi avendo preso “consapevolezza” che la corda che si stava tirando rischiava di spezzarsi e rischiava di provocare situazioni difficilmente sostenibili e gestibili.

Ed ecco che dal cilindro spuntano le “regole” del Dalemiano ministro Minniti, che (solo fortunatamente?) trovano un immediato riscontro nel conclave europeo e nell’altra sponda del Mediterraneo dove c’è un Governo voluto dall’Onu e “pilotato” da interessi che si muovono a variegati livelli.

Nello Scavo, inviato a Zuara scrive sul suo reportage pubblicato ieri (3 settembre) sul quotidiano Avvenire illustra la situazione in Libia:

(…) Il buco nero delle prigioni clandestine ha numeri da Terzo Reich. Stando a fonti locali dell’Organizzazione internazionale dei migranti, sono circa 400mila i profughi “contabilizzati” dalle autorità di Tripoli, ma quelli rimasti imprigionati nel Paese, secondo stime ufficiose confermate anche da fonti di intelligence italiane, sarebbero tra gli 800mila e il milione. Dall’Oim segnalano però che i centri di detenzione sotto il controllo del governo e dei 14 sindaci che si sono accordati con l’Italia per fermare le partenze sono una trentina, e al momento vi sarebbero rinchiuse non più di 15mila persone. Dove sono stati inghiottiti gli altri? (…) Il 2 agosto, relazionando alla commissione Schengen, il direttore dell’Ufficio di coordinamento per il Mediterraneo dell’Oim, Federico Soda, disse che le condizioni dei complessi “governativi” sono tali da non lasciare alternativa: «Andrebbero chiusi subito» (…).

Ma, come scrive (3 settembre) Alessandra Ziniti sul quotidiano Repubblica

(…) Chi è in Libia, fuori dai centri di detenzione, punta ad Ovest, Tunisia e Algeria. È lì, poco oltre il confine, che si trovano i nuovi scafisti con le loro barchette di legno: rotta diretta per le spiagge della Sicilia e della Sardegna. Chi in Libia non ci è ancora arrivato, cambia strada: dall’Africa subsahariana verso il Marocco, nuovo trampolino di lancio verso la Spagna (in allarme per l’aumento del 300 per cento degli sbarchi), dalla Siria e dal Medio Oriente verso la Turchia e da qui di nuovo verso la Grecia ma anche verso nuovi porti di approdo. In meno di due mesi il blocco delle partenze dalle coste libiche ha già modificato in maniera sostanziale i flussi migratori, riaprendo rotte ormai abbandonate come quella su Lesbo ma anche aprendone di totalmente inedite (…) Niente più gommoni ma piccole barche in legno su cui salgono in dieci, venti, trenta alla volta. Partono dalla Tunisia e dall’Algeria, riescono ad aggirare quasi sempre la sorveglianza dei mezzi di pattuglia nel Mediterraneo e a sbarcare i migranti direttamente sulle spiagge, spesso tra i bagnanti, come accadeva fino a qualche anno fa. Sulle coste della Sicilia meridionale, da Agrigento a Siracusa, ma anche di nuovo a Lampedusa e Linosa e a Pantelleria. In Tunisia i vecchi passeur, pionieri dei viaggi nel Mediterraneo, hanno ripreso a fare affari su una rotta più breve, conosciuta e più o meno sicura: quella che da Zarzis porta sulle spiagge deserte dell’Agrigentino, da Realmonte a Torre Salsa. Li chiamano “sbarchi fantasma” perché le barche riescono ad arrivare senza essere intercettate da nessuno, si spingono fino a poche decine di metri dalla riva, lasciano i migranti che quasi sempre riescono a dileguarsi tra i bagnanti e tornano indietro. Da settimane, ormai, non c’è giorno senza sbarchi (…).

Abbiamo riportato stralci di due importanti reportage su quotidiani nazionali per cercare di dire che le informazioni sulla reale situazione dei migranti c’è, è nota e volutamente ignorata soltanto da chi ha interesse a non darle maggiore divulgazione.

D’altra parte, è sufficiente comprendere pienamente quanto ha affermato l’ex premier Matteo Renzi: i migranti serve aiutarli nei paesi di origine, investire in Africa. Si può fare non solo con le grandi aziende, ma con la cooperazione, con gli investimenti nei luoghi di origine. È, dunque, sempre una questione di “soldi”, di tanti “investimenti” che equivalgono a “soldi” da “gestire”. Il ritornello non cambia. Questo visibile aspetto della situazione lo avevamo spiegato qualche giorno addietro, e vale la pena riproporre l’articolo.


La Voce dell’Isola – 29 agosto 2017

Soluzione migranti? Solo questione di soldi…

di Vittorio Spada

A poco a poco sembra delinearsi il quadro generale sulla delicata questione dell’ininterrotto flusso di migranti dalla Libia verso l’Europa, transitando dalla Sicilia, e in parte fermandosi nell’Isola: tutto sembrerebbe ruotare attorno a questioni di natura economica e di interessi convergenti o contrastanti sul territorio libico e su chi attualmente lo governa. Le nuove situazione che si vanno presentando scaturiscono dal vertice di Parigi, dove Francia, Germania e Spagna si dichiarano favorevoli al progetto Italia-Libia per contrastare l’immigrazione e cercare di risolvere il problema. Un vertice, questo di Parigi, che segna una svolta fino a qualche mese addietro impensabile, vista la posizione dei principali Paesi UE a scaricare tutta la responsabilità dell’accoglienza dei fuggitivi proprio sull’Italia.

In realtà in materia di accoglienza in Italia probabilmente cambierà poco, perché la soluzione che verrebbe condivisa riguarda l’erogazione di fondi alla Libia, sul cui territorio dovrebbero essere organizzati campi profughi più o meno stabili, e aiuti consistenti ai Paesi di origine dei flussi. In un documento già sottoscritto si esprime la volontà di Germania, Spagna e Francia “a continuare a sostenere l’Italia, in particolare intensificando i ricollocamenti e fornendo il personale necessario a Frontex e all’Ufficio europeo che si occupa della materia dell’asilo (…).

Nel documento si sottolinea la necessità di creare Centri di accoglienza sul modello “hotspot” da aprire in Libia, gestiti dall’Alto commissariato per i rifugiati e dall’Oim dove sia garantito «il rispetto dei diritti dei migranti che sono stati soccorsi dalla guardia costiera locale. Il presidente del Parlamento Europeo, Antonio Tajani, ai microfoni di “Radio Anch’io”, ha affermato: Non credo che la soluzione giusta sia aprire tutti i porti d’Europa. Il problema è che non bisogna fare arrivare i migranti economici in Europa. Bisogna intervenire in Africa, in Libia. Il Parlamento Europeo ha votato una risoluzione che chiede agli Stati e alla commissione Ue di investire 6.5 miliardi di fondi europei non utilizzati per il rimpatrio degli illegali e per affrontare l’emergenza immigrazione immediatamente. Queste risorse possono essere utilizzate anche per i rimpatri collettivi. Si tratta di misure concrete. La Commissione ha deciso di investire in Libia, ma non basta, bisogna fare di più.

Dunque, gira e rigira, è sempre una questione di soldi, se si intende veramente risolvere il “caso migranti”. E lo conferma anche il documento citato che sostiene la creazione di una nuova “cooperazione con i paesi d’origine, per affrontare le cause profonde del flusso migratorio, prevenire le partenze, e migliorare la capacità dell’Unione europea di permettere il ritorno dei migranti clandestini nei loro paesi”. Gli interventi per permettere la crescita di questa cooperazione sono vari: l’Ue si doterà “di nuovi strumenti per intensificare e facilitare I ritorni volontari” (in aggiunta a quelli esistenti), ma anche per aiutare a rafforzare l’integrazione socioecnomica dei migranti che ritornano nella loro comunità di origine.

Intanto si sta considerando anche la pesante condizione che sta vivendo attualmente la Libia, sulle cui spiagge si è riversata una massa di settecentomila fuggitivi, momentaneamente rimasta bloccata.

 

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